A cura dell’Avv. Leonardo Arienti

In caso di conto corrente cointestato tra coniugi o familiari, vige una presunzione ex art. 1854 cod. civ. in base alla quale si ritiene cointestato al 50% il saldo attivo del conto. Tale presunzione è però superabile da uno dei cointestatari del conto attraverso delle presunzioni semplici – purché gravi, precise e concordanti – per mezzo delle quali dimostri che il versamento di somme sul conto corrente è di pertinenza di uno soltanto di essi. In questo caso si deve escludere che l’altro cointestatario possa avanzare diritti sul saldo medesimo.

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La cointestazione di un conto corrente tra coniugi attribuisce agli stessi, ex art. 1854 c.c., la qualità di creditori o debitori solidali dei saldi del conto, sia nei confronti dei terzi che nei rapporti interni.

L’art. 1854 cod. civ.  rubricato “Conto corrente intestato a più persone”, in particolare precisa che nel caso in cui il conto sia intestato a più persone, con facoltà per le medesime di compiere operazioni anche separatamente, e dunque con firma disgiunta tra di esse, gli intestatari sono considerati creditori o debitori in solido ex art. 1292 cod. civ. dei saldi del conto.

Da ciò si desume la presunzione della contitolarità dell’oggetto del contratto.

Tale presunzione dà luogo ad una inversione dell’onere probatorio rispetto alla titolarità escusiva delle somme riferibile ad uno solo dei conitestatari.

Tale prova può essere data attraverso presunzioni semplici – purché gravi, precise e concordanti – dalla parte che deduca una situazione giuridica diversa da quella risultante dalla cointestazione (Cass. n. 18777/2015).

Dunque, nel caso in cui il saldo attivo su un conto cointestato risulti discendere dal versamento di somme di “pertinenza esclusiva” di solo uno di essi,  deve escludersi che l’altro cointestatario, nel rapporto interno tra di essi contitolari, possa avanzare diritti sul saldo medesimo (Cass. n. 3248/1989; n. 4066/2009).

A tal proposito la Corte di Cassazione (Cassazione Civile, Sez. II, 23 febbraio 2021, n. 4838) ha recentemente rilevato che nel conto corrente bancario intestato a due (o più) persone, i rapporti interni tra correntisti non sono regolati dall’art. 1854 cod. civ., riguardante i rapporti con la banca, bensì dall’art. 1298 comma 2, cod. civ. rubricato “Rapporti interni tra debitori o creditori solidali” in base al quale “le parti di ciascuno si presumono uguali, se non risulta diversamente”.

In base a tale articolo il debito e credito solidale si dividono in quote uguali solo se non risulti diversamente.

Dunque, la Corte di Cassazione (Cass. n. 4838/2021) ha, precisato che “ove il saldo attivo derivi dal versamento di somme di pertinenza di uno solo dei correntisti, che l’altro possa, nel rapporto interno, avanzare pretese su tale saldo ma, ove anche non si ritenga superata la detta presunzione di parità delle parti, va altresì escluso che, nei rapporti interni, ciascun cointestatario, anche se avente facoltà di compiere operazioni disgiuntamente, possa disporre in proprio favore, senza il consenso espresso o tacito dell’altro, della somma depositata in misura eccedente la quota parte di sua spettanza, e ciò in relazione sia al saldo finale del conto, sia all’intero svolgimento del rapporto”.

Un recente sentenza del Tribunale di Roma del 17 maggio 2021 ha a tal proposito statuito che il corrispettivo dell’alienazione di un bene personale del coniuge (trattasi di un immobile qualificato come personale) resta nell’esclusiva titolarità di quest’ultimo, anche qualora il relativo importo venga versato su di un conto deposito cointestato e, a seguito di investimento in titoli ed esso sia riscosso dall’altro coniuge mediante trasferimento della liquidazione del controvalore dell’investimento sul proprio conto personale.

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Estratto della Sentenza della Corte di Cassazione  Civile. Sez. II, Ord., (ud. 25/11/2020) 23-02-2021, n. 4838

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rosanna – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27552-2016 proposto da:

C.A., C.U., elettivamente domiciliati in Roma, Viale Delle Milizie 3, scala A, interno 1, presso lo studio dell’avvocato Roberto Cefaloni, che li rappresenta e difende;

– ricorrenti –

contro

BANCA POPOLARE DI SONDRIO SOC. COOP PER AZIONI, elettivamente domiciliato in Roma, Piazza Mazzini 27, presso lo studio dell’avvocato Francesco Mainetti, che lo rappresenta e difende;

R.F., elettivamente domiciliato in Roma, Via Graziano 26, presso lo studio dell’avvocato Cesare Ammendola, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato Lorenzo Reveglia;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 5779/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 30/09/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 25/11/2020 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE TEDESCO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MISTRI Corrado.

Svolgimento del processo

che:

– i fatti sono così riassunti nella sentenza impugnata: “considerato che con la sentenza di cui in rubrica il Tribunale di Roma ha accolto la domanda avanzata da C.U. e C.A. nei confronti di R.F. e della Banca Popolare di Sondrio, domanda avanzata nella qualità di eredi ab intestato del proprio fratello C.G., defunto coniuge della R. e volta ad ottenere l’attribuzione pro quota della metà delle somme giacenti sul conto corrente n. (OMISSIS), intrattenuto presso l’agenzia di Roma n. (OMISSIS) della Banca Popolare di Sondrio dai coniugi C. a R. all’epoca del decesso del proprio congiunto (avvenuto il (OMISSIS));

-a sostegno della domanda gli attori riferivano di aver appreso come il conto, al momento del decesso, presentasse un saldo attivo di Euro 271.307,24, la metà dei quali, il giorno stesso della morte, erano stati trasferiti dalla R. su altro conto corrente a lei intestato presso la medesima banca;

-all’esito del giudizio – nel quale la R. aveva chiesto respingersi la domanda attorea sul presupposto che l’intera somma depositata nel conto corrente fosse per lo più di sua esclusiva pertinenza, poichè per la quasi totalità proveniente dalle successioni della propria madre e della propria sorella, e la Banca l’inammissibilità della domanda svolta nei propri confronti, essendo del tutto estranea alla vicenda ereditaria – il Tribunale, in accoglimento della domanda avanzata dagli attori, ha dichiarato caduto nella successione di C.G., il 50% delle somme esistenti sul conto corrente al momento del decesso e, per l’effetto, ha attribuito a ciascuno degli attori la somma pari a 1/3 del saldo attivo del conto (al netto delle somme di proprietà della R., pari alla metà), condannando inoltre la R. a rimborsare le spese di lite sia agli attori, sia alla banca;

-a fondamento della decisione il tribunale ha ritenuto, da un lato, che le produzioni documentali effettuate dalla R. non consentissero di dimostrare la provenienza personale delle somme versate nel conto corrente (in assenza, tra l’altro, delle dichiarazioni di successione della madre e della sorella), dall’altro che, in ogni caso, la convenuta avesse deciso di riversarle nel conto cointestato con il marito, mediante un comportamento concludente espressivo della volontà di attribuire le somme alla comunione legale, elemento quest’ultimo di valenza assorbente e dirimente della lite”.

Contro la sentenza R.F. proponeva appello davanti alla Corte d’appello di Roma, che accoglieva il gravame, condannando gli attori al pagamento delle spese del doppio grado del giudizio sia nei confronti della R., sia nei confronti della Banca.

La corte di merito riconosceva che la R. aveva fornito elementi idonei a superare la presunzione di pari appartenenza del saldo, posta dall’art. 1854 c.c., avendo provato che il conto corrente fu alimentato per la quasi totalità con proprie risorse, essendo modesti gli importi versati dal coniuge, titolare della sola pensione Inps. A questo fine poneva l’accento su una pluralità di rimesse di consistente importo per le quali si poteva ragionevolmente riconoscere la provenienza personale della provvista, in quanto derivanti dalla successione della madre e della sorella della R..

Nello stesso tempo la corte di merito negava che la cointestazione fu voluta con l’intento di realizzare una liberalità; negava inoltre, in relazione a una compravendita con la quale il defunto aveva trasferito al coniuge la quota del 50% di una proprietà immobiliare, che la medesima costituisse una donazione volta, appunto, al riequilibrio dei rapporti a seguito delle rimesse precedentemente operate dalla R. con il denaro acquistato per l’eredità dei congiunti. Non erano stati forniti elementi idonei a dimostrare che il prezzo non fosse stato corrisposto dall’acquirente R., nè i fratelli C. avevano proposto azione volta a dimostrare la simulazione del negozio.

Per la cassazione della sentenza C.U. e C.A. hanno proposto ricorso, affidato a tre motivi.

R.F. e la Banca Popolare di Sondrio hanno resistito con controricorso.

I ricorrenti e la Banca Popolare di Sondrio hanno depositato memoria.

Motivi della decisione

che:

Il primo motivo denuncia omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Le rimesse considerate dalla corte d’appello non erano state le uniche affluite sul conto corrente cointestato, essendocene state altre e plurime, provenienti dal C., il che impediva di riconoscere la titolarità esclusiva del conto. A questo effetto si richiede la prova che la totalità delle somme affluite nel tempo siano di spettanza di uno solo dei titolari. Il secondo motivo, suddiviso in due diversi profili, denuncia omesso esame di un fatto decisivo e violazione dell’art. 1414 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.

La sentenza è oggetto di censura nella parte in cui la corte d’appello ha negato la connessione fra le rimesse operate dalla R. e la compravendita della quota dell’immobile intercorsa fra i coniugi con atto del 23 settembre 2005. Si sostiene che le precedenti rimesse operate dalla R. sul conto comune costituivano, in parte, il pagamento del prezzo della stessa vendita, che nell’atto il venditore dichiarava di avere già in precedenza ricevuto. La corte d’appello non ha compreso che tale deduzione non costituiva implicita denuncia della simulazione del negozio, ma aveva la finalità di sostenere che le vicende del conto corrente avrebbero dovuto essere considerate in questa più ampia prospettiva di rapporti.

Il terzo motivo denuncia violazione degli artt. 2729, 1101, 1298 e 1854 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

La pacifica esistenza di rimesse effettuate dal C. sul conto, se da un lato impediva di riconoscere la esclusiva titolarità del conto in capo alla R., dall’altro, imponeva di considerare, sotto una luce diversa, anche le rimesse valorizzate dalla corte d’appello, effettuate sul conto cointestato proprio con l’intento di rendere comune le relative somme. Sarebbe stato più ragionevole, se diversa fosse stata l’intenzione della R., versare le somme su un conto personale.

La corte d’appello aveva così ritenuto superata la presunzione di pari appartenenza del saldo sulla base di elementi privi dei requisiti richiesti dall’art. 2729 c.c. Si impone in via prioritaria l’esame del primo e del terzo motivo, nella parte in cui quest’ultimo denuncia la violazione dell’art. 1854 c.c. I motivi, da esaminare congiuntamente, sono fondati.

La cointestazione di un conto corrente tra coniugi attribuisce agli stessi, ex art. 1854 c.c., la qualità di creditori o debitori solidali dei saldi del conto, sia nei confronti dei terzi che nei rapporti interni, e fa presumere la contitolarità dell’oggetto del contratto; tale presunzione dà luogo ad una inversione dell’onere probatorio che può essere superata attraverso presunzioni semplici – purchè gravi, precise e concordanti – dalla parte che deduca una situazione giuridica diversa da quella risultante dalla cointestazione stessa (Cass. n. 18777/2015). Pertanto, ove il saldo attivo del conto cointestato a due coniugi risulti discendere dal versamento di somme di pertinenza di uno soltanto di essi, si deve escludere che l’altro coniuge, nel rapporto interno, possa avanzare diritti sul saldo medesimo (Cass. n. 3248/1989; n. 4066/2009).

Nel conto corrente bancario intestato a due (o più) persone, i rapporti interni tra correntisti non sono regolati dall’art. 1854 c.c., riguardante i rapporti con la banca, bensì dall’art. 1298 c.c., comma 2, in base al quale debito e credito solidale si dividono in quote uguali, solo se non risulti diversamente; sicchè, non solo si deve escludere, ove il saldo attivo derivi dal versamento di somme di pertinenza di uno solo dei correntisti, che l’altro possa, nel rapporto interno, avanzare pretese su tale saldo ma, ove anche non si ritenga superata la detta presunzione di parità delle parti, va altresì escluso che, nei rapporti interni, ciascun cointestatario, anche se avente facoltà di compiere operazioni disgiuntamente, possa disporre in proprio favore, senza il consenso espresso o tacito dell’altro, della somma depositata in misura eccedente la quota parte di sua spettanza, e ciò in relazione sia al saldo finale del conto, sia all’intero svolgimento del rapporto (Cass. n. 77/2018).

La corte d’appello, nel caso di specie, ha riconosciuto la titolarità esclusiva del saldo esistente al momento della morte in capo alla R., sulla base della considerazione di alcune cospicue rimesse operate dalla stessa, pur dando atto che sul conto era accreditata la pensione del coniuge: il che, in linea di principio, imponeva per ciò solo una ricostruzione più articolata dei fatti, che avesse riguardo allo svolgimento dell’intero rapporto, mentre tale accertamento non risulta compiuto dalla corte d’appello, che ha considerato solo le singole rimesse provenienti dalla R..

Nel controricorso si deduce che il saldo finale, riconosciuto per intero di pertinenza della sola R., era stato valutato dalla corte d’appello al netto di operazioni di deposito e prelievo delle somme di provenienza diversa. In questo modo i controricorrenti sembrano dare per implicito che la movimentazione del conto in corso di rapporto, in entrata e in uscita, fosse imputabile al solo C., in guisa da potersi ritenere la titolarità esclusiva del saldo residuo in capo all’altro correntista. Ciò tuttavia non emerge dalla sentenza impugnata, che è fondata sulla modesta entità delle somme apportate dal C. e non anche sul fatto che il modesto apporto era stato neutralizzato da prelievi di pari importo imputabili solo al medesimo.

E’ fondato anche il secondo motivo.

La corte di merito ha negato ogni possibile connessione fra le vicende del conto cointestato e la vendita intercorsa fra i coniugi, in relazione alla quale ha affermato non esserci prova che il prezzo non fosse stato pagato e “soprattutto in assenza di un’azione volta a dimostrare la simulazione del negozio”. La corte d’appello non ha tenuto conto che la deduzione di parte, trascritta a pag. 10 del ricorso, non era finalizzata a sostenere che la compravendita mascherasse un trasferimento di diritto senza corrispettivo.

I ricorrenti avevano infatti sottolineato che le parti contrattuali avevano rispettivamente dichiarato di avere versato e ricevuto prima dell’atto il prezzo della vendita (come consentito dalle norme all’epoca in vigore). Essi, proprio partendo dal fatto che nella compravendita il prezzo era stato dato per pagato prima dell’atto, avevano sollecitato una diversa considerazione della vicenda, in primo luogo nel senso che una parte delle rimesse provenienti dalla R. fosse da imputare al prezzo, che il venditore aveva dichiarato di avere già riscosso. Diversamente, la corte d’appello, supponendo erroneamente che la deduzione avrebbe richiesto che fosse stata fatta valere la simulazione del negozio, attraverso la proposizione della relativa azione, ha ignorato la deduzione, così incorrendo nello stesso tempo nel vizio di omesso esame del fatto e di violazione delle norme sulla simulazione. Sono assorbite le restanti censure di cui al terzo motivo.

La sentenza deve essere cassata in relazione al primo, al secondo e, nei limiti di cui sopra, anche al terzo motivo, con rinvio della causa per nuovo esame ad altra sezione della Corte d’appello di Roma, che liquiderà le spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

accoglie, nei sensi di cui in motivazione, il ricorso; cassa la sentenza impugnata; rinvia la causa ad altra sezione della Corte d’appello di Roma anche per le spese.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Seconda civile della Corte suprema di cassazione, il 25 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 23 febbraio 2021